BIMBI E TEENAGER 'CYBORG', TABLET E CELLULARI PROTESI CORPO

Secondo uno psicoanalista gli apparecchi sono vissuti come parte di sé

Quasi quattro bambini su cinque negli Usa possiedono un iPod o un altro lettore musicale, e il 60% dei dodicenni ha un cellulare personale: dati che rivelano ormai non solo quanto siano diffusi questi apparecchi nell'infanzia, ma anche che ormai sono un 'prolungamento' del loro corpo, un oggetto indossabile che inaugura il corpo 'neo-cyborg' dei giovani nativi digitali. Dati a cui sono ormai vicini anche Europa e Italia, visto che secondo i recenti dati della ricerca Net Children Go Mobile, finanziato dal Safer Internet Programme della Commissione Europea, il 53% dei ragazzi europei tra i 9 e i 16 anni possiede uno smartphone e il 48% lo usa ogni giorno per andare online.
A rilevarlo è Daniele Biondo, psicoanalista della Società psicoanalitica italiana (Spi), in un suo studio sui nativi digitali. “Il dispositivo 'palmare', che non è più il semplice cellulare - spiega - ma una piattaforma complessa per chattare ed essere perennemente collegati alla rete, ascoltare e scaricare musica, giochi, applicazioni, messaggiare, raramente per telefonare visto che costa troppo, rappresenta ormai una protesi naturale degli adolescenti e dei bambini”. In questo modo si allarga la “dimensione pubblica del sé – continua Biondo - c'è un'inflazione del pubblico sul privato, la perdita della dimensione privata del sé con la pubblicizzazione del tempo privato”. Ecco perché quando si toglie a un bambino o un adolescente uno di questi strumenti la reazione è molto forte.
“A parte alcuni casi di suicidio - rileva - che sono gli eventi peggiori, molti adolescenti provano una rabbia enorme verso i genitori, perché quando gli viene tolto lo smartphone o il tablet lo sentono come un attacco alla propria persona e alla propria crescita, che li lascia senza via di fuga. E' come se gli si chiedesse di camminare senza una gamba, proprio perché l'apparecchio è una parte di se, che lo tiene collegato al gruppo, fuori dalla famiglia”.
I genitori non devono criminalizzare, secondo lo psicoanalista, né il gruppo né internet e la tecnologia. “Se sono 'analfabeti digitali' - conclude - devono farsi iniziare dal figlio e non vivere questo passaggio come una perdita di ruolo. E anche se analfabeti, non devono rinunciare al loro ruolo regolatorio e da mediatore tecnologico, lasciando così soli i ragazzi, che non vogliono essere abbandonati”. (ANSA)