CHE COS’È IL CORECOM, CHE COMPIE 20 ANNI

Una sigla che sta per Comitato Regionali per le Comunicazioni. Oggi evita cause giudiziarie lunghe e costose tra cittadini alle prese con compagnie telefoniche o big delle comunicazioni. Ma per il futuro si possono ampliare i compiti e le prospettive

di Marianna Sala Presidente Corecom Lombardia

Una sigla che sta per Comitato Regionali per le Comunicazioni. Oggi evita cause giudiziarie lunghe e costose tra cittadini alle prese con compagnie telefoniche o big delle comunicazioni. Ma per il futuro i compiti si possono ampliare le prospettive.

Un acronimo oscuro – Corecom – per indicare un organismo nato 20 anni fa noto solo nel mondo degli addetti ai lavori, che ora comincia a essere conosciuto da un pubblico sempre più vasto di utenti della telefonia, di Internet e della pay tv. L’abbreviativo sta per Comitato Regionale per le Comunicazioni, ed è un’authority regionale, con funzioni di garanzia e controllo per le comunicazioni in ambito regionale. È infatti ai Comitati Regionali per le comunicazioni che da un paio d’anni si rivolgono in misura sempre più massiccia centinaia di migliaia di cittadini alle prese con grane e controversie di vario tipo ed entità con le compagnie telefoniche e in generale i big delle comunicazioni. La fanno per evitare d’imbarcarsi in cause giudiziarie lunghe ed onerose, ma che invece possono avere soddisfazione in tempi rapidi, a costo zero, senza scucire un euro. Può accadere proprio rivolgendosi direttamente ai Corecom che hanno sede una ciascuna presso i Consigli regionali.

In realtà, anche se cominciano ad essere conosciuti e utilizzati dal grande pubblico per l’esercizio di queste apprezzate funzioni, i Corecom sono anche molto altro, come è emerso in occasione del Ventennale di Fondazione, in un evento svoltosi in Senato, che ha visto la presenza della presidente del Senato Casellati, del presidente della Conferenza delle Regioni Fedriga, e dei principali esponenti delle istituzioni che si occupano di comunicazioni.

Nati 20 anni fa, sulla scia della riforma Maccanico che aveva istituito l’Agcom, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, i Corecom hanno esercitato numerose funzioni assegnate in parte da leggi statali, in parte da leggi regionali e per una buona quota su delega della stessa Agcom, impossibilitata per ragioni organizzative a svolgere molte sue funzioni nelle sue sedi centrali, a Roma e Napoli. Dalla vigilanza sul sistema radiotelevisivo locale, alla gestione delle controversie nel settore delle comunicazioni elettroniche; dalla vigilanza sui sondaggi in ambito locale, alla par condicio nelle campagne elettorali e referendarie; dalla promozione di trasmissioni riservate alle associazioni di rilevante interesse sociale, culturale, professionale, alla tenuta del Registro degli operatori della comunicazione, a numerose altre, che chiunque può trovare sui loro siti istituzionali.

E per il futuro? Il modello, stando a quanto è emerso nell’evento del Ventennale, ha dimostrato di funzionare e di conservare tuttora, a distanza di 20 anni dall’istituzione, la sua validità e attualità, tant’è che si pensa già ad un suo potenziamento, con l’attribuzione di nuove funzioni per far fronte agli sviluppi tecnologici più recenti. Sul tavolo, ci sono già alcune ipotesi, rese necessarie dalle ultime novità tecnologiche e della normativa Ue, recentemente recepita dal Parlamento nell’ordinamento nazionale. Una per esempio – che costituirebbe un altro servizio utile per i cittadini — l’estensione degli interventi di conciliazione stragiudiziale, senza oneri a carico del cittadino, già oggi svolte dai Corecom con soddisfazione di molti utenti, anche alle controversie fra utenti e fornitori di piattaforme per la condivisione di video, evitando contenziosi davanti al giudice civile e l’esborso di spese tecniche e legali.

Un’altra potrebbe riguardare l’attuazione ad una disposizione – l’art. 60 – prevista dall’art. 60 del nuovo Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi (di recepimento delle direttive UE), che richiama la possibilità, per le Regioni, di individuare i compiti di pubblico servizio che la Rai, società concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale è tenuta a adempiere nell’orario e nella rete di programmazione destinati alla diffusione di contenuti in ambito regionale. Una possibilità che apre prospettive importanti, considerando la nuova nozione di servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale, attribuendo alle Regioni la possibilità di individuare compiti di servizio pubblico di interesse regionale da svilupparsi anche sul piano dei contenuti multimediali e on demand. La piattaforma Rai Play, sempre più frequentata dai cittadini, potrebbe ampliarsi sino a contenere un vero e proprio mosaico di contenuti multimediali promossi, richiesti o ispirati dalle Regioni allo scopo di valorizzare la dimensione culturale locale del Paese. E altre ancora, che porteranno ad una nuova stagione.

Fonte: corriere.it