CYBERBULLISMO: LE PROPOSTE DI LEGGE SONO INUTILI

Dire che è colpa di internet e dei social network e sequestrare smartphone e computer vuol dire non avere capito il problema. Il bullismo si combatte con educazione e cultura, non aggiungendo nuove norme ad altre già esistenti

Tra le tante malattie di cui soffre il nostro Paese, quella della superproduzione normativa è senz’altro endemica. Ogni volta che un nuovo fenomeno insorge (o spesso, la nuova faccia di un vecchio problema), la prima reazione è sempre quella di correre ai ripari con un disegno di legge, una normativa o almeno un decreto, che non si nega a nessuno.

Nel caso del bullismo non è ancora chiaro in quale delle tre fattispecie ci si troverà. Sono più d’una le p.d.l.presentate, visto l’interesse che riscuote il tema. In questi giorni si parla di quella presentata da Micaela Campana, responsabile welfare del Partito democratico ma riemerge anche quella della senatrice Elena Ferrara (anche lei del Pd). E come sempre succede in questi casi, il rischio di ottenere un minestrone normativo è serio.Tuttavia c’è un elemento che mette d’accordo tutti: il colpevole. La  colpa è di internet e dei social network, causa di tutti i mali.

Se pensare a una legge contro il bullismo può  essere sensato, ragionare in termini di cyberbullismo non solo è privo di senso, ma è pericolo. E’ pericoloso perchè considerare il mondo fatto di “reale” e “virtuale” e quindi il bullismo costituito da due dimensioni, quella fisica e quella cibernetica, fa perdere di vista la contiguità di due dimensioni la cui gestione non può essere separata e distinta.

Partire da una visione distorta di una rete dalla quale bisogna difendersi, non può che portare a soluzioni fuorvianti: occorre tener ben presente che il social network amplifica un  fenomeno la cui origine è altrove, non certo nella rete. Il problema del bullismo in rete non è la rete, ma il bullismo che non va certamente combattutto agendo sugli strumenti, come si paventa di fare con il sequestro degli smartphone o dei PC di cui si parla.

 
Combattere il bullismo vuol dire sviluppare un’azione culturale che agisca a tutti i livelli del problema: vuol dire educare e rieducare i bulli sensibilizzandoli sui possibili esiti delle loro azioni. Colpendoli e punendoli, ove necessario, con leggi che già ci sono. Vuol dire educare le vittime ad un uso consapevole della rete e dei social network che non vanno temuti ma conosciuti: nelle opportunità che offrono come nelle minacce che celano. E vuol dire – soprattutto – educare le famiglie e gli insegnanti, veri anelli deboli di questa catena, che fanno sempre più fatica a comprendere le dinamiche degli strumenti utilizzati dai loro ragazzi. Nelle proposte di legge in discussione, indipendentemente dagli spunti che pure talvolta offrono, lo spettro di una rete vista come nemica incombe.