AGCOM: SUL WEB POTERI DA RIFONDARE

Con una sentenza di inammissibilità (la n. 247 del 2015), la Corte costituzionale ha deciso una tra le più delicate questioni sul suo tavolo, che riguarda l'equilibrio tra diritto d'autore e libertà di espressione nel mondo digitale, oltre alla distribuzione del potere tra gli organi dello Stato.

La vicenda parte da lontano: in un quadro normativo, piuttosto incoerente ed a tratti confuso,  l'AgCom ha approvato nel 2013 un regolamento volto a contrastare la pirateria informatica e tutelare i diritti di proprietà intellettuale in rete: è prevista, ad esempio, la possibilità di ordinare la rimozione dei contenuti e, nei casi più gravi, l'oscuramento di un sito, all'esito di un procedimento scandito da tempi strettissimi.

Il regolamento è stato subito impugnato davanti al Tar del Lazio, sulla base dell'assenza di norme legislative che attribuiscano all'AgCom il potere di disciplinare la materia.

Chiamato a decidere della legittimità del regolamento, il Tar ha spostato verso l'alto la questione, passando la “patata bollente” alla Corte costituzionale: secondo il giudice, infatti, le leggi esistono ma sono di dubbia costituzionalità in quanto violerebbero il principio di legalità, la libertà di espressione e il diritto di difesa.

Con la pronuncia di inammissibilità, sembrerebbe, a prima lettura, che la Corte  restituisca la palla al Tar, senza incidere sul merito ma non è così. La Corte smentisce il presupposto del giudice di primo grado, in quanto - con parole chiare come poche altre volte ha fatto - afferma che la lettura delle previsioni effettuata dal giudice rimettente "non risulta coerentemente o comunque adeguatamente argomentata", non prendendo nemmeno in considerazione l'ipotesi che i poteri dell'AgCom possano discendere dalla stessa legge istitutiva dell'autorità.

La decisione della Corte avrà sicuramente effetti sulla sorte del regolamento Agcom. Il Tar (o il Consiglio di Stato) dovrà trovare ragioni più convincenti per giustificare i poteri normativi dell'autorità o dichiarare il regolamento illegittimo. Potrebbe addirittura risollevare una questione di costituzionalità, consentendo così alla Corte di decidere sul  merito.

Il legislatore - questo il messaggio che viene dal Palazzo della Consulta - non può lasciare ad altri il tema del bilanciamento dei diritti in rete né quello del confine tra i poteri dell'autorità amministrativa e di quella giudiziaria.