Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso dell'Agcom Scongiurato il ?far west? del telecomando

Il farwest dei telecomandi può attendere. Con il decreto 3539/2011 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso d'urgenza proposto lunedì dall'Agcom contro l e sentenze del Tar del Lazio che annullavano la delibera 366/10 relativa all'Lcn (Logical channel number), l'ordinamento automatico dei canali della tv digitale sul telecomando di casa. L'ultima parola sulla vicenda arriverà a questo punto il 30 agosto, quando il supremo organo della giustizia amministrativa esaminerà il caso in camera di consiglio.

Le sentenze del Tar del Lazio sono due: in quella più corposa (la 6814/2011), si sostiene che i tempi della consultazione pubblica indetta dell'Agcom sull'Lcn siano stati troppo brevi (15 giorni anziché un minimo di trenta), ma anche che nello stabilire i criteri per l'assegnazione dei canali siano state erroneamente utilizzate le graduatorie dei Corecom (i comitati regionali dell'Agcom), che hanno tenuto conto più della dimensione delle aziende (per esempio il numero di dipendenti) che le abitudini dei telespettatori e quindi i veri dati di ascolto. La seconda sentenza, invece, si sofferma nello specifico sulla presunta inadeguatezza del metodo Corecom.

Le reazioni

Dura la reazione del Comitato radio tv locali (Crtl): «Spiace rilevare che l'Autorità di garanzia agisca per iniziativa unilaterale su una questione di massima importanza per il comparto televisivo», sostiene il legale di Crtl, l'avvocato Domenico Siciliano. Di tutt'altro avviso Andrea Ambrogetti, presidente di Dgtvi, l'associazione che riunisce Rai, Mediaset, Telecom Italia Media e Dfree, per il quale la decisione del Consiglio di Stato «salvaguarda sia gli utenti che le aziende».

Soddisfazione anche per Aeranti-Corallo: «Il settore televisivo locale - ha spiegato il coordinatore Marco Rossignoli - è convinto che le graduatorie Corecom basate sulla media dei fatturati dell'ultimo triennio, nonché sul numero e sulla tipologia dei lavoratori delle tv locali, siano idonee a garantire abitudini e preferenze degli utenti e costituiscano un criterio oggettivo facilmente misurabile».

Fonti vicine all'Autorità fanno invece sapere che «il termine di 30 giorni non era applicabile poiché i servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica sono estranei all'applicazione del decreto 259/2003, mentre il criterio delle graduatorie era l'unico che potesse essere seguito».

Fonte: Il Sole 24 ORE Daniele Lepido 3 agosto 2011

MB