TELEFONIA FISSA, LA FATTURAZIONE A 28 GG LEDE I DIRITTI DEI CONSUMATORI

La Cassazione, sentenza n. 4182 depositata oggi (15 Febbraio 2024), chiude definitivamente la vicenda bocciando il ricorso di Telecom Italia Spa

La fatturazione a quattro settimane anziché mensile, nella telefonia fissa, lede i diritti dei consumatori. La Cassazione, sentenza n. 4182 depositata oggi (15 Febbraio 2024), chiude definitivamente la vicenda bocciando il ricorso di Telecom Italia Spa contro la sentenza della Corte di Appello di Milano che nel dicembre 2022 aveva dato ragione all’Associazione movimento dei consumatori (Amc).

Per la Terza sezione civile è dirimente il fatto che la “cadenza mensile” era di “uso comune” mentre la fatturazione a 28 giorni incide “negativamente” e in “modo apprezzabile” sulle capacità del consumatore di “valutare il prezzo del servizio” e sulle “possibilità di comparazione”, così integrando una pratica commerciale scorretta, contraria alla diligenza professionale e lesiva dei diritti dei consumatori (ragion per cui l’illiceità sussisteva già prima dell’entrata in vigore dell’art. 19-quinquesdecies del Dl n. 148 del 2017). Del resto, prosegue la decisione, anche la Corte di giustizia Ue (sentenza 8 giugno 2023, in causa C-468/2020), adita in via pregiudiziale, ha chiarito che l’obbligo di fatturazione mensile non è lesivo dei diritti e interessi degli operatori di servizi di telefonia «in quanto non pregiudica…la loro libertà di fissare il prezzo dei loro servizi e di proporre offerte commerciali con una cadenza superiore a quattro settimane».

In definitiva, per la Cassazione: “La ragione decisoria dirimente che regge la decisione di secondo grado … è quella correlata all’accertamento, per fatto notorio, non solo di un uso negoziale relativo alla cadenza mensile dei pagamenti, quanto di una condotta contrattuale scorretta, tale constatata non ai fini di una sanzione di competenza dell’autorità amministrativa, bensì nella prospettiva civilistica della lesione del diritto del consumatore alla trasparenza informativa funzionale all’idoneo apprezzamento dei costi così come alla loro comparabilità non distorta da una condotta in tal senso ingiustificata, già espressione dei generali principi di correttezza e buona fede nel regime dei contratti”. In quanto “non è immaginabile che la nozione di consumatore avveduto possa essere, per ciò solo, fatta corrispondere all’astratto «homo oeconomicus» perfettamente vigile e analitico oltre che razionale”.

In altre parole, prosegue la Corte, “tutte le censure diffusamente rivolte in ricorso all’impossibilità di legittimare un intervento eteronomo sul contenuto economico del contratto si scontrano con l’evidenza data dalla persistente libertà di regolare in via negoziale il prezzo ovvero l’offerta di servizio, senza però una condotta ovvero con una modalità contraria agli obblighi di correttezza e buona fede, quale sopra focalizzata”. Ne deriva ulteriormente l’infondatezza della censura riferita all’art. 295, cod. proc. civ., “essendo evidente che si tratta di giudizio tra diversi soggetti e con diverso oggetto, concernente la legittimità dei provvedimenti adottati dall’autorità regolatoria nei confronti degli operatori di telefonia, mentre il presente giudizio ha riguardo alle obbligazioni tra le parti contrattuali, pur nella prospettiva collettiva introdotta dall’associazione originariamente attrice”.

15 Febbraio 2024
di Francesco Machina Grifeo
fonte: ntplusdiritto.ilsole24ore.com